martedì 27 marzo 2012

Liberi di essere addomesticati




"bisogna cambiare tutto per non cambiare niente".
Don Giuseppe Tomasi scriveva di un'altra epoca, ma da allora, pur essendo cambiato tutto, non è cambiato - appunto - niente.

Un'Italia fa, nel Paese che tira più di un carro di buoi, era buona regola, per essere giusti, socialmente accettati, recitare dei ruoli di personaggi "vincenti". Le maschere da indossare erano semplici, rozze, vagamente grottesche: l'uomo un po' macho vestito finto elegante o finto alternativo, con un disprezzo orgogliosamente mostrato per il genere femminile, la donna rigorosamente pancia in dentro e chiappa in fuori, con un disprezzo orgogliosamente mostrato verso il genere femminile (ah, l'ho già detto?), moglie o amante del miliardario di turno. Tutti rigorosamente un po' coglioni, con grossi problemi di disagi linguistici, l'allergia al ragionamento e alla logica e un amore smodato per volgarità e maleducazione. In quel Paese luccicante di paillettes e spot vissuti come realtà, dove il pollice opponibile ha ceduto il ruolo di "dito più importante" al medio alzato era tutto abbastanza semplice, bastava ridere come deficienti, dire ogni tanto un due stronzate e aspettare 9 secondi prima di proseguire con un "non mi avete capito". Alla portata di tutti insomma.
Ora siamo nel mezzo di un cambiamento epocale. Messi da parte push up e dentiere sbiancate. Seri, molto seri, quasi tristi (fare pendant con la locuzione "lacrime e sangue", moda che la madonna di Civitavecchia aveva già lanciato tempo fa) . Dovremmo tendere al precariato perchè il lavoro fisso deve farci schifo. "Tempo indeterminato" verrà cancellato dal vocabolario e bandito per legge, siamo raccomandati o sfigati, e per favore, anche se non capite perchè dovreste farlo, cambiate città.
Un bel cambiamento, sì. E giù polemiche sull'opportunità di questa o quella dichiarazione. Giù bordate su chi è meglio di chi. Disquisizioni eleganti incentrate sul dito che nasconde la luna.
Quello che invece non cambia, e che trovo più fastidioso del tacco 12 per legge e del rinnegare l'articolo "la" per partito preso, è questa continua, immutabile, fastidiosa volontà di dover essere qualcuno deciso da qualcun'altro. La stupidità nel non (voler) capire che siamo tutti uguali solo se diversi. L'affermazione del diritto sacrosanto di essere chi voglio io (nel rispetto degli altri e della legge), anche se sogno il posto fisso e voglio vivere accanto ai miei (aspirazioni che non ho mai avuto ma che non ritengo di serie B). Qualcuno ha mai detto che in un Paese serve chi si sposta e chi rimane? Che sono utili tutti i lavoratori, che sono una risorsa dal primo all'ultimo, che sono una risorsa persino le casalinghe? Qualcuno ha mai sussurrato che dietro un lavoratore e un disoccupato c'è una persona? Uomo o donna che sia, ma una persona con sogni, aspirazioni, progetti, e che sono tutti dannatamente legittimi. E' stato mai fatto notare che un paese che si dice civile (con un doppio carpiato e una botta di reni) è quello che lascia spazio all'individualità? Che anzi, eresia, la vede come ricchezza, come base per il futuro, come valore da coltivare.
La nostra libertà di essere è chiusa dentro gabbie sempre più strette, etichettata da tag sempre più dettagliati. Mentre discutiamo elegantemente di chi è meglio di chi.

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