domenica 22 luglio 2012

Lovers Pride

Il problema non è la Curia di Milano, non è Casini, né i casini interni a quella   creatura    mitologica del PD.
Il problema non sono le unioni civili, le civil partnership, i pacs, i dico o i matrimoni.
Tutto questo vespaio serve solo a distrarre dal cuore dell'argomento:

il diritto di amare.

L'amore non è etero, omo, bi, trans. L'amore è Amore.
Sfuggente per definizione non si lascia rinchiudere in colori, cultura, corpi. Non ha limiti né confini.

Nessuna legge può (dovrebbe poter) legittimare solo alcuni tipi di amore. Nessun legislatore può (dovrebbe poter) arrogarsi il diritto di stabilire chi può amare chi.  

Quello che tutti questi paladini di finta moralità e della giustizia a metà stanno facendo, è 

mettere sotto attacco il diritto di amare. 

Non esiste nessuna guerra dei diritti tra coppie etero e omosessuali, i diritti sono (dovrebbero essere) quelli degli individui e delle famiglie che scelgono di formare. I doveri che ogni persona ha verso il suo compagno e la società sono (dovrebbero essere) identici. 
Non facciamoci fregare da chi vuole convincerci del contrario. 


sabato 21 luglio 2012

la Trappola - Genova 20-21 luglio 2011

..tra ieri e oggi, 11 anni fa



Il peggior nemico delle donne

Donna: persona adulta di sesso femminile.
Questa la definizione dal vocabolario, questo il significato nella lingua italiana.
Il problema, o meglio la meraviglia delle parole, consiste nel fatto che non possono essere relegate al solo significato letterale, sarebbe riduttivo e renderebbe impossibile una comunicazione più approfondita. Mi spiego: "casa" non vuol dire solamente "edificio ad uso abitativo", implica un valore affettivo/sentimentale positivo o negativo, implica un moto emotivo personale e per questo non delineabile né definibile. Le parole sfuggono spesso al loro significato letterario, sono più grandi, strabordano di implicazioni, di connessioni. Sono tonde e sfuggenti. 

Definire "donna" con le parole richiederebbe lo spazio da qui alla luna andata e ritorno e non sarebbe abbastanza. Ogni persona, a pieno titolo, può inserire o togliere sfaccettature, può aggiungere un però, mettere l'accento su un particolare, idealizzare o limitare. Ogni donna, nella sua unica, personale e preziosa definizione mette un po' di ciò che è, di ciò che vorrebbe essere, di ciò che ha idealizzato. Ogni uomo, nella sua unica, personale e preziosa definizione mette un po' di ciò che ha conosciuto, di ciò che vorrebbe che sia e di ciò che ha idealizzato. Non trovate sia meraviglioso essere parte di un insieme che di fatto non si può definire? Sia chiaro, credo che di "uomo" in quanto persona di sesso maschile, si possa dire lo stesso, ma qui, ora, sto pensando alle donne e rifletto su di loro. Su di noi.

Mi rendo conto di essere in corto circuito. Credo nel diritto di ognuna di noi di rendersi attraente,  se vuole. Credo persino che il culo e il cervello possano convivere nello stesso spazio fisico senza rubarsi la scena a vicenda. Non trovo nulla di sbagliato nel puntare su un fisico piacente, quando e se è una scelta. Trovo però molto limitativo, puerile ed offensivo considerare e valutare una donna solo dal punto di vista estetico. Lo so è un discorso vecchio come il mondo e tutte, prima o poi siamo cadute nel circolo vizioso del "meglio bona o intelligente?". Sostanzialmente ci siamo date da sole la corda per impiccarci. Abbiamo nutrito con i nostri dubbi una separazione tra essere e avere. I dubbi sono diventati insicurezze, le insicurezze sono diventate croniche e abbiamo finito per credere veramente che potevamo avere un bel culo. O essere intelligenti. Certo non si tratta di colpa, tanto meno di colpa esclusiva, ma trovo orribile il fatto che abbiamo finito per crederci, per avvalorare, per difendere e infine far nostro questo modello che ci vuole donne a metà. 

Una casa non è una sola stanza, un libro non è la sola copertina e una donna non è il suo culo. Certo, siamo tutte d'accordo su questo, o meglio il nostro cervello crede che sia così. Peccato che al pensiero troppo spesso non segua l'azione. Che non è bruciare il reggiseno, è rimettere nello stesso corpo cervello e chiappe, possibilmente mantenendo tra i due cuore, fegato e frattaglie varie.

E' per questo, credo, che provo un moto di rabbia profonda "sfogliando" i quotidiani on line che trovano necessario aggiornarci sullo stato della cellulite di questa o quella, sulle prove bikini superate o meno, sulle docce sexy (?????) di tale "personaggia" famosa o addirittura sul modo di vestirsi. La rabbia monta di più nel constatare che buona parte di questi articoli vengono scritti da donne. Probabilmente perchè se lo facesse un uomo -apriti cielo- verrebbe tacciato di maschilismo, lapidato e poi crocifisso. Che lo faccia una donna, invece, è più politically correct, accettato. 

E perdonatemi il francesismo, ma accettato un cazzo!

Io, non posso accettare e avallare che siano proprio le donne a fomentare questa schizofrenia. Non posso accettare che si parli di femminicidio (termine che detesto tra le altre cose) e che nello stesso tempo, le stesse persone, dalle stesse testate siano i principali responsabili di questa sottocultura che ci vuole perfette e fotoscioppate all'inverosimile. Non posso credere che siamo diventate le paladine dell'omologazione, delle misure perfette (per una copertina mica per la vita), della guerra alla buccia d'arancia. 
Dovremmo urlare il diritto alla cellulite, altrochè. Dovremmo urlare che siamo belle perchè non simmetriche, che non siamo costrette ad essere sexy e che ci sentiamo perfette come siamo, che i nostri difetti sono quello che ci rende uniche. Meravigliosamente uniche.

Certo, per questo servirebbe lavorare un po' meglio sull'autostima, limare un po' l'insicurezza, capire quando si sta scavando nell'ossessione. Sì, sembra più semplice uniformarsi ad un modello dato, ma valutarne il prezzo da pagare -personale e collettivo- non è un optional. 

Della definizione splendidamente sfaccettata di donna stiamo perdendo molto, tutte. Ne stiamo perdendo la "rotondità", l'unicità. Siamo diventate un mercato in cui noi stesse siamo merce, venditori ed acquirenti. Siamo diventate parte di un modo di vivere e di pensare che ci detesta, o meglio che ci accetta solo se conformi. Non possiamo batterci contro quella che definiamo cultura maschilista se le prime a nutrire dubbi su noi stesse siamo noi.

E' triste, ma il peggior nemico delle donne, sono le donne.

lunedì 2 luglio 2012

diritto d'autore ad minchiam



Ognuno ha le sue dipendenze.
Io, che non mi faccio mancare - quasi - nulla, ne ho una lista di 3 cartelle tra cui la "dipendenza da fiction" sgomita dalle prime posizioni.
Già li vedo i nasi in su di tanti -pseudo- cinefili, pronti a giurare con una mano sul cuore e l'altra sul manifesto del collettivo dogma95, eterna fedeltà al cinema d'autore. Che poi, ce ne fosse uno che a domanda diretta "per favore puoi definirmi cinema d'autore" sappia organizzare una frase di senso compiuto. Roba che ti viene da consigliare l'uso di qualche libro (anche semplici eh, tipo il sussidiario) tra un film d'autore e un altro, ma questo è un'altro discorso.
Comunque. La mia "nuova" serie preferita è HIT and MISS . Serie che dal mio punto di vista conferma la qualità dell'industria inglese. Voglio dire che è fatta bene, che mi piace la regia, la fotografia, la musica, gli attori, la post (cazzo, la post!) e sopratutto mi piace la storia. Non che abbia una particolare predilezione per le storie di transessuali non operati che di mestiere fanno i killer e che scoprono di avere un figlio e una famiglia di cui doversi occupare. Ma insomma, esisterà qualcosa oltre polizia-avvocati-medici proposti e propinati in qualsiasi salsa, no?

E quindi guardavo la splendida Chloe Sevigny nei panni di Mia e pensavo: ma cosa ci manca a noi (italiani) per fare una serie fatta così bene? E sia chiaro non sto parlando di bella/brutta, parlo di accuratezza, di sensibilità, di capacità tecniche e artistiche. I soldi, direte voi. E per carità, dico anche io, ma aggiungo che è un falso problema, ed è un problema secondario (ne senso che viene per secondo, abbiate pazienza che ci arrivo). E comunque a parte pochi casi (credo Montalbano, Coliandro e poche, pochissime altre) le fiction italiane sono fatte per il mercato italiano, non per quello europeo, figuriamoci per quello mondiale. Le produzioni non investono soldi propri (e come potrebbero?) e quello che c'è deve bastare. Siamo minestrari, tanto per usare un termine amato nel calcio. Ma le professionalità ci sono. Siamo perfettamente in grado di fare ottimi film e splendide serie. Non credo di dover fare una lista di registi, dop, scenografi, operatori, truccatori, parrucchieri, costumisti e via via fino alla classica "ultima ruota del carro" per dimostrare quanto questo sia vero. Ma allora?



Cosa si deve fare per poter avere tra le italiche produzioni anche delle storie diverse? Perchè il "pubblico" italiano deve essere visto come un' entità astratta e bineuronale dai vari finanziatori e/o produttori e/o distributori (che spesso, troppo spesso coincidono)? 
Vi immaginate di poter vedere in tv delle immagini tipo questa? ***ATTENZIONE*** SI VEDE UN PENE E NO, NON SI TRATTA DI YOUPORN!!

Credevate forse di poter essere trattati da adulti, credevate di essere in grado di apprezzare la struggente tenerezza e malinconia delle sequenze in cui Mia si colpisce ripetutamente tra le gambe, odiando un corpo che in parte non le appartiene? Dice che è per rispetto al pubblico, lo stesso pubblico ritenuto interessato a conoscere tutti i particolari della passera  farfalla della Belen di turno. Con tutto il rispetto per le farfalle chiaramente, che ognuna di noi, della sua farfalla, ne fa ciò che desidera. Ma non è detto che tutti dobbiamo necessariamente esserne interessati.




Mi torna in mente un post un po' datato di Anne, al secolo Anne Riitta Ciccone, autrice e regista. Una di quelle che sa cosa dire e guarda un po', sa anche come raccontarlo. Nel post linkato (fateve del bene, leggetelo - tra un film d'autore e un altro) Anne racconta la vicenda dell'intossicazione da segale cornuta durante una messa a Campobasso. Quello che per i comuni mortali è un "se lo racconto non ci crede nessuno", per un autore diventa un "se lo metto in un film, non ci crede nessuno". E poi va ancora oltre, e tocca secondo me il punto centrale (vabbè semi-centrale) di questo post: il famigerato "Ma secondo te si capisce?". Cito una parte del post, giusto per far capire a chi non ha mai assistito a nessuna fase della produzione di un film, da dove partono le magagne

è vero che una delle cose più stancanti di questo mestiere sono quei referenti con cui devi rapportarti, da produttori a finanziatori diretti e indiretti, che non sanno esprimere altro che:
ma secondo te, si capisce?
ma questa cosa, come è possibile?
ma secondo te è credibile?

Non sarà un po’ troppo? (….)

Quindi ti succede di limitare costantemente l’uso dell’attrezzo base su cui si fonda il lavoro del fare cinema (scriverlo, dirigerlo, fotografarlo, etc): la fantasia.
ed ancora:
 immagini bene i dialoghi che avranno avuto con il funzionario di turno e che ha portato a tanta desolazione:
“Ma qua non si capisce”
“Ma questo come si spiega?”
“Ma faglielo dire, no, che lui non ama più lei?” (come se una scena in cui ne strappa le foto non fosse abbastanza).
“Dai, così non è credibile. E’ troppo grottesco”. (come se, anche fosse grottesco, non sarebbe una meravigliosa conquista di genere. Da noi grottesco è diventato un insulto).
Ci troviamo davanti a queste sceneggiature in cui pedissequamente e come se il pubblico fosse tutto cretino ti dicono già dai titoli di testa cose tipo “Oh vedi, sono stato licenziato, mannaggia! E ora come farò?” , poi incontra la mamma “Ma ti hanno licenziato e tu hai due bambini, come farai?” e lui poi va a cercare lavoro e dice “Siccome sa, io ho due bambini e quindi devo lavorare…” e magari con una triste gag di lui che inciampa nel tappetino all’ingresso finendo con le  mani sulle tette di una, a dire che sì, è un disoccupato ma siamo in una commedia. Togli caduta- tappetino- con- mani- su- tette, e lo stesso soggetto identico con gli stessi dialoghi funge da versione drammatica /autoriale.
Ecco, questo è il contesto. O meglio, questa è la punta dell'iceberg. Questo è il paese dove prima di rovinare un film si riesce a rovinare una storia. Aborti preventivi.

Allora, per cortesia, fatemi il Razzo di piacere di non farmi i "cosi" a peperini con la difesa del diritto di autore, perchè nun ve ne po' fregà de meno dell'autore. Perchè mentre ci raccontate che il pubblico ladro non rispetta il lavoro autoriale, voi siete lì con le vostre penne rosse a mortificare autori e sceneggiatori, a rendere il loro lavoro paragonabile a quello di un alunno di terza (elementare), banale e noioso.
Che tipo di diritto state proteggendo quando un film viene interrotto ogni 20 minuti da un quarto d'ora di pubblicità? Ad essere cattivi si direbbe che i film servono solo per vendere la pubblicità..

Fatevi un favore, lasciate gli autori liberi di scrivere, di usare l'attrezzo fantasia (per dirla con parole di Anne), di scegliere cosa fare delle loro opere, lasciate che sia il pubblico a decretare cosa gli piace e cosa no, lasciateci guardare i film che non verranno mai girati e quelli girati che non avranno mai una distribuzione. Smettetela di decidere cosa, come, quando dobbiamo guardare un video. Solo in quel momento, solo quando sarete i primi a rispettare gli autori potrò credervi ancora.






Per la cronaca:

-non credo che in Italia venga prodotta solo spazzatura, siamo capaci di girare ottimi film con pochi capitali. E lo abbiamo dimostrato.

-non credo che tutti i produttori/finanziatori/distributori siano signorine Rottermaier, ma credo che queste abbiano una vita più tranquilla

-non credo che tutti gli autori siano dei geni ne' penso che tutta la produzione debba essere "di qualità", possiamo però arrivare almeno ad un 50 - 50?